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III Quaresima

Gv 2,13-25

Cosa distanzia lo zelo dalla gelosia, cosa distanzia la rabbia dallo sdegno e cosa distingue il comandamento da una parola?

La liturgia di oggi si pone come lamina d’oro fino che suddivide per congiungere noi a noi stessi in Gesù di Nazareth. Il Signore Gesù scaccia i mercanti dal Tempio, dalla zona perimetrale del grande luogo di culto eretto da Erode e così facendo sancisce la sua condanna a morte. Aveva osato toccare e mettere le mani su ciò che era suo ma di cui altri si erano indebitamente appropriati. C’è un nesso particolare tra Gesù e il Tempio, tra il tempio e le dieci parole. Il santuario era luogo dei sacrifici, luogo del culto, presenza dell’uomo che onora Dio con le tante offerte. In quel Tempio, nel suo angolo remoto, Dio, in sembianza umane ritorna per rimettere le cose a posto, li dove tutto sembrava dimenticato. Le dieci parole sono il centro di quell’atto con cui Dio rimette a posto la nostra vita. Non lo fa con un precetto da eseguire ma con un insegnamento da ruminare nella gradualità della vita, non con un aut aut fatto di rigida impazienza, ma con la dolcezza forte di chi dice di essere il “Signore tuo Dio”: “Il Signore Dio che è per Te”. È singolare che nella lingua della Scrittura, la parola Dio si scriva con le stesse lettere, anche se rovesciate, della parola “no”. Molte volte nei nostri canti liturgici abbiamo allestito sgabelli che vendevano un dio che è un “no”! Gesù viene nel Tempio, per scardinare l’idolatria di un dio “no” o di un dio “si”. Egli viene a portare un culto in Spirito e Verità dove Dio è colui che nei tuoi fallimenti e nelle tue vittorie, in ogni esperienza del tuo umano rimane sempre l’Emmanuele: il Dio con te, il Dio per te!

Padre Andrea



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